Il consumo abituale, quotidiano, di caffè (non vale per il caffè decaffeinato), è in grado di ridurre considerevolmente il rischio di sviluppare il Parkinson. Il meccanismo d’azione più plausibile è l’antagonismo per il sottotipo recettoriale adenosinico A2A, espresso prevalentemente nei neuroni del corpo striatopallido. Tale antagonismo è in grado di ridurre la neurotossicità dopaminergica. L’azione combinata dei principi attivi presenti nel caffè si traduce anche con una riduzione della neuroinfiammazione, altra caratteristica del PD. Su modelli animali, è stato riscontrato come l’impiego del caffè, a dosi comparabili con quelle consumate dagli uomini sia in grado di ridurre il danno neurologico anche a patologia conclamata, aumentando così le già interessanti sue caratteristiche protettive. Uno studio su un ampio campione di popolazione americana (più di centomila soggetti), seguiti per un periodo di 10 anni ha evidenziato come il consumo abituale di caffè, da una a tre tazzine al giorno, consenta una riduzione del rischio di malattia fino al 40% circa (95% CI: 0,40-0.95). Per le donne tale protezione esiste però solo dopo la menopausa e se non si segue una terapia ormonale sostitutiva, in quanto gli estrogeni annullano gli effetti neuroprotettivi del caffè.
- Sonsalla PK, Wong LY, Harris SL, et al: Delayed caffeine treatment prevents nigral dopamine neuron loss in a progressive rat model of Parkinson’s disease. Exp Neurol. 2012 Apr; 234(2): 482–487.